Don Di Nitto: Un prete “particolare” a Tremensuoli.

Don Biagio Di Nitto, parroco di Tremensuoli, è un'altra faccia tosta di conio e degno di stare a paragone col Dolce, se in qualche parte non gli è superiore per l'energia , cinismo e l'efferatezza. La sua cura d'anime fu un seguito non interrotto di violenze, di usurpazioni, prevaricazioni, stupri e turpitudini inimmaginabili ed inenarrabili. Diventato pazzamente innamorato di una sua parrocchiana, che largamente corrispondeva a tutte le insane e contro-naturali sue voglie, divenne geloso del marito di costei, e non potendo sopportate l'idea di un'accomunanza di sensuale ebbrezze, lo ammazzò nella presbiteria barbaramente a colpi di bastone. Quest'ultimo delitto fece traboccare l'odio ed il disprezzo pubblico, che da molto tempo covava nel cuore dei Tremensuolesi. Dovette sfuggire di notte e travestiti se volle sfuggire la morte che gli volevano dare gli esasperati suoi parrrocchiani. Fu accusato di furto, detenzione d'armi proibite, omicidio; non arrestato, perché si seppe destramente munire di un salvacondotto del procuratore generale di Napoli. Fu libero e per molti mesi d'aspettazione e trepidanza i Tremensuolesi seppero con stupore, non si sa come, che il Di Nitto era stato processato a piede libero, non si sa dove né da che tribunale, e che finalmente era stato mandato pienamente assolto. Prova evidentissima ne sia, che egli tuttora passeggia burbanzoso per le vie di Gaeta e v'amministra la religione santa e vi compie i sacrifici della messa e maneggia gli oli sacri, i vasi, le ostie e le reliquie. Il prete Di Nitto ha avuto due audacie singolari, incredibili, d ad un punto tanto impudenti che un prete solo ne poteva essere capace. Si mostrò in Tremensuoli, il tetro delle sue vergogne, dell'onta sua e dei suoi delitti, ma per poco tempo, finché gli animi di quei villici tanto si concitarono a questa impudica bravata, che già s'apprestavano a far man bassa sul malcapitato prete se la truppa non giungeva in punto per sedare il tumulto e salvare il Di Nitto dalla vendetta dei suoi parrocchiani. La seconda delle sue audacie è più inverosimile ancora e più strana, e molti la taccerebbero di fanfaluca e me ne darebbero la berta se non avessi per mio appoggio e cauzione lo stesso egregio generale Covone, che ebbe per le mani l'istanza del prete don Biagio Di Nitto al re Vittorio Emanuele II, al suo passaggio nella città di Gaeta, nella quale domandava nientemeno che la croce di cavaliere dell'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro per essere stato una vittima innocente del partito borbonico che lo calunniava perché liberale. Poveri liberali, in che brutta compagnia si trovano! Chi vede il Di Nitto non solo lo giudica capace di quanto ha fatto, ma d'iniquità maggiori, che sia assai difficile di trovare una figura così perfettamente da manigoldo qual è la sua, ed un occhio più torvo e più sinistro, una bocca più livida, una faccia più bassamente e più oscenamente lussuriosa, avida e proterva. Al partito prete borbonico nuoce assai ogni volta ogni qualvolta la quiete sembra rinascere nelle province napoletane, e quindi si agita e si contorce moltissimo e in ogni senso per inviare nuova gente, denari, armi, onde far nuovi tentativi, queli esser si vogliano, ma purché si dia ragione di gridare a più non posso che l'agitazione ed il malcontento regnano nelle province meridionali sotto l'attuale governo. (Il testo è tratto da “Nihil novi sub sole” di Aurelio Carlino, edizioni Caramanica).

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